martedì 30 dicembre 2014

On the road - Pt 4: Stati Uniti 4 anni dopo

In direzione ostinata e contraria era nato nell'agosto 2011 in occasione di uno splendido viaggio negli Stati Uniti, durante un periodo piuttosto complicato della mia vita; potrei dire, certo, anche dalla necessità di dare mie notizie a chi era rimasto dall'altra parte dell'Atlantico, ma soprattutto per tenere traccia di un'esperienza che presentivo indimenticabile. 
In effetti il viaggio fu bellissimo, a tratti difficile, tanto che anche la mia comunicazione si interruppe piuttosto bruscamente (credo ci fosse anche lo zampino dell'ipad di Vale, che potrei definire tutto fuorché responsive per un'aspirante diarista come me allora). 

Ho riletto tutto diciamo per caso (diciamo perché ad oggi, passati 4 anni molto intensi!, posso dire che il caso non esiste): pensieri, retro-pensieri, commenti, risposte, fino ad arrivare all'ultima riga con un pizzico di delusione. Non ho scritto nulla del Grand Canyon?! di Las Vegas?! e la Death Valley, il Sequoia, ma soprattutto... San Francisco (che comunque merita un post a parte)? 

Così, un po' per celia, un po' per davvero, mi imbarco à la recherche du voyage perdu, e come una nouvelle Proust mi godrò, tappa dopo tappa, la mia personalissima madeleine. Bon appetit à moi! :)

                                                                                                                                    Stati Uniti,                                                                                                                                    dicembre 2014

Del Grand Canyon ricordo una grande emozione e un profondo senso di pace. C'erano dei piccoli fiori gialli incastrati tra le rocce, come quelli che puntellavano il giardino di mio nonno, spontanei e tutti vicini l'uno all'altro. Ricordo di essere stata forse venti minuti seduta su una poltrona rocciosa, davanti ad una natura imponente e spettacolare, con il vuoto sotto i piedi e gli occhi pieni di libertà. Libertà di portare lo sguardo in lontananza, lontano dalle cose vicine, e di posarlo vicino alle cose lontane. Esatto, io del Grand Canyon ricordo proprio questo: occhi liberi di accarezzare spazi immensi, sebbene Charlie Brown avesse ragione guardando il suo cielo stellato, in effetti anche a me "l'infinito schiaccia sempre un po'" :)

Las Vegas, invece, non la dimenticherò mai: un insieme di caldo, afa, luci sparate e criminalità varia ed eventuale. L'albergo peggiore di tutto il nostro viaggio dove io, Zione e Francy abbiamo addirittura dormito vestiti per evitare un eczema come souvenir. Poi una sparatoria all'interno del Flamingo mentre NOI eravamo all'interno del Flamingo, un giro al casinò, le fontane del Bellagio ma soprattutto... l'aria bollente riversata per la strada da TUTTI quei maledetti condizionatori di TUTTI quei maledetti alberghi. Nella memory card del mio cervello, Las Vegas purtroppo avrà sempre i tratti di un appiccicaticcio ed estenuante nugolo di gente, di sudore e di trash. Tanto trash, che a causa delle provanti condizioni climatiche, devo ammettere che non mi sono nemmeno goduta!
In effetti il caldo deserto del Nevada ci mise a dura prova un po' tutti, tanto che disdicemmo la prenotazione per la seconda notte nell'esclusivo lodge della Death Valley. Mi torna in mente la macchina rovente, carica d'acqua per il refill e con l'aria condizionata mesta mesta, per non sovraccaricare troppo il motore in quella landa deserta: tutto molto suggestivo, per carità, ma io vorrei trovare una persona - una - che mi dicesse che tornerebbe in quei posti. O almeno che lo farebbe ad agosto... Io ho il ricordo di un corri corri generale per vedere tutto senza rischiare di liquefarsi. Ruvido, avventuroso e fresco Grand Canyon, perché ti abbiamo abbandonato?

Prima di arrivare a San Francisco abbiamo fatto sosta al Sequoia Park per una notte, anche qui nel lodge all'interno del parco insieme ad una marea di tedeschi. Ricordo molto molto bene uno svomitazzo benedicente di Valentina non appena messo piede là dentro, però non ricordo se fosse qui o nel ristorante della Monument Valley che ho pregato talmente tanto un cameriere di portarmi dell'olio d'oliva che alla fine questo è uscito con una tanica di latta da 10 litri. Direttamente da qualche anfratto della cucina, chissà che ci facevano 'sti americani con l'olio buono? Lucidavano le pentole?
Al Sequoia, stanchi e ormai quasi al buio, ci concediamo una passeggiata a passo svelto per abbracciare il Generale Sherman. Il tempo di sentirmi molto piccola al cospetto dei suoi 83 metri che il gesto spontaneo,  ed ingenuamente "turistico", di gettare le braccia attorno al collo di quell'albero si è rivelato indelebile. E cos'è, se non questo, il dono che un viaggio può fare?
Vivere un attimo che inconsapevolmente lievita sotto pelle e che nel via vai della tua vita quotidiana ti torna alla mente, e con la stessa intensità ed emozione ti riporta dall'altra parte del mondo, al calar del sole.





Generale Sherman, albero pieno di vita e di saggezza, è così che da quel giorno ti penso e ti porto con me!