Rileggevo i primi pensieri postati in questo blog e ho trovato tanti orrori di punteggiatura e di sintassi, quasi da rischiare un infarto per una laureanda in Lettere.
Il fatto è che l'ipad è estremamente comodo e stancante al tempo stesso: è vero, lo puoi usare ovunque ed è leggero ed intuitivo, però se ami scrivere ti succhia le energie ottiche e mentali.
La sua tecnologia interrompe spesso il flusso di pensieri, aggiunge quel retrogusto artificiale ad una pratica che è estremamente emozionale e che riesco a preservare a malapena quando uso il laptop nell' intimità della mia stanza.
Quindi, almeno per questa vacanza, viva i refusi e le virgole di troppo :)
Questi ultimi giorni abbiamo abbandonato il verde dei Parchi e il nostro sguardo è ormai abituato a montagne rocciose di zinco, ferro e rame che poggiano sulla terra rossa e cocente.
Lo Utah è lo Stato dei Mormoni, almeno così dice la Routard e il "Book of Mormons" al posto della Bibbia nei motel; ma io, in giro, di mormoni non ne ho visti, anzi.. qui sono tutti italiani, ricconi del Nord che ti parlano con il loro accento milanese o veneto e ti guardano storto se dici che alloggi al Motel 6 (la Ryanair nel campo della sistemazione, poche pretese e "pochi" dollari a notte).
Nello Utah visitiamo Arches, Riserva naturale dove si possono ammirare archi di roccia rossa e scorci che non hanno nulla da invidiare al Grand Canyon.
La zona di Canyonlands, infatti, è stata fonte di ispirazione per molti registi del secolo scorso ed è divertente ritrovare paesaggi di films che abbiamo visto e amato: al Red Cliff's Lodge visitiamo il Museo del Cinema "western", e oltre alla foto con un sagomato John Wayne, mi faccio immortalare davanti alla sezione dedicata a "Ritorno al Futuro III", che Zemeckis ha girato qui (e questo vale anche per Forrest Gump e altri films come Mission Impossible e Thelma&Louise).
Le montagne rocciose e i colori che le contraddistinguono sono affascinanti, peccato per il caldo torrido che non permette di fare passeggiate ma solo di passare con disivoltura dal sedile della nostra Kia Sedona ai 40 gradi del deserto..venti minuti al massimo di tour, fotografie, pensieri lasciati a metà e subito ho bisogno di cercare ombra e acqua (e trascino con me Vale, che è chiarissima di carnagione, oltre che quasi mamma).
Siamo eccitati all'idea di vedere la Monument Valley, il complesso roccioso ancora abitato dai nativi, gli indiani Navajo.
In ogni punto del Parco ci sono frasi suggestive relative alla sacralità del luogo e musica "da zufolo" ti segue ovunque: inutile dire che di sacro c'è rimasto ben poco, gli Indiani bevono birra come irlandesi e si vendono l'aria a peso d'oro, contrattando e gesticolando da bravi affaristi.
La Monument è...monumentale, alcune foto al magnifico arcobaleno che segue la tempesta (niente metafore, comincia proprio a piovere dopo poco l'inizio del nostro giro) e mangiamo qualcosa, poi torniamo al nostro Motel (indiano e a due piani, a corte, con la scala e ringhiera esterna: sì, proprio come nei telefilm).
Non ci arrendiamo e stamattina ci dirigiamo di nuovo verso la Monument, sperando che non piova: vediamo l'alba che nasce fra le Tre Marie, le formazioni che si vedono anche dalla parking area e che "aprono" il lungo giro turistico della Valle (27 kilometri di buche e sassi).
Col sole deve essere uno spettacolo e le montagne che oggi ci hanno accolto scure e zuppe di pioggia, in realtà devono avere dei colori accesi che sfumano dall'arancio al corallo, ma che noi purtroppo siamo costretti ad immaginare.
Le nuvole ci seguono, ma imperterriti decidiamo di visitare l'Antilope Canyon, in Arizona.
Cambia il fuso, ma noi dormiremo a Kanab, di nuovo nello Utah, quindi lasciamo le lancette un'ora avanti, dato che saremo "indietro" solo per poche ore durante la mattinata.
L'Antelope è un Canyon "al chiuso", un lungo corridoio fra le rocce, che lasciano filtrare dal soffitto sprazzi di luce solare, creando bellissimi colori sulle pareti.
Il Navajo che ci guida ci fa notare tutte le sagome di animali, capi indiani, personaggi famosi che dovremmo individuare nei profili delle rocce.. Dopo George Washington, Cavallo Pazzo e King Kong, mi arrendo nel riuscire a scorgere Sharon Stone in un ammasso confuso di pietre e sinceramente on vedo l'ora di uscire: il posto è meraviglioso e -indovinate?- "sacro" (anche se sono i Navajo i primi ad urlarci dentro e a deturparlo) ma il tutto è commercializzato e gestito, più o meno abusivamente, da nativi.. che di nativo hanno ben poco (basti pensare che, oltre ai 25 dollari del biglietto, paghiamo 6 dollari di parcheggio A PERSONA.. No comment, rimpiango i gentili e simpatici colonizzatori americani).
Ironia a parte, avrei voluto vederli davvero questi nativi, gli abitanti di una terra che difendono ancora e con i mezzi che possono, che vivono di agricoltura e si affidano allo stregone per prevedere il futuro e curare le malattie con erbe magiche.
Il tempo a nostra disposizione è davvero poco, ma mi piacerebbe molto visitare di nuovo l'America ed entrare dentro quelle anse, storie e tradizioni che da turisti non possiamo soffermarci a scoprire: fagocitiamo kilometri e sensazioni, vediamo di tutto un po' e, personalmente, la prendo come un "gettare le basi" per un futuro viaggio negli Usa, mirato ai luoghi che mi sono rimasti dentro in questi giorni.
Ieri sera proprio non ce l'abbiamo fatta a dirigerci verso il Grand Canyon, eravamo troppo stanchi per rimetterci sulla macchina e cambiare di nuovo Stato, quindi rimandiamo il tutto alla mattina dopo.
Ci consoliamo con una cena in pieno stile Happy Days in un localino adorabile nella città di Kanab, che ci fa mangiare bene e concludere con una "Dark chocolate sponge cake" veramente sublime (tortino morbidissimo di cioccolato fondente ripieno di cioccolata fusa, servito con gelato alla vaniglia) e che probabilmente è l'unica cosa veramente tipica che ho assaggiato durante questo viaggio.
Dopo una notte movimentata a causa della radiosveglia del motel che ha suonato due volte nel bel mezzo del sonno senza motivo, e dopo una colazione abbondante e salata, siamo di nuovo in auto, finalmente diretti verso il Grand Canyon.
Abbiamo deciso di raggiungerlo dal North Rim, l'entrata Nord appunto, che tutti ci hanno detto essere meno affollata e turistica del South Rim.
Nel pomeriggio ci muoveremo verso Las Vegas, dove inizieremo un graduale reinserimento nella civiltà e nel caos americano: i luoghi visitati negli ultimi giorni sono stati sicuramente indimenticabili, ma dopo un po' il paesaggio risulta monotono e "castrante", dato che il caldo è asfissiante e non permette di muoverti come vorresti.
Attraverso Repubblica.it apprendiamo la notizia dell'uragano che colpirà NYC fra stasera e domani; oltre alla preoccupazione per la notizia in sé, pensiamo che se avessimo programmato il nostro itinerario di viaggio al contrario, cioè partendo da S.Francisco con arrivo a New York, sarebbe stato davvero un problema.
Qui i tg parlano solo di questo con un misto di fibrillazione e angoscia che sinceramente ha contagiato un po' anche me, nonostante la rassicurante lontananza geografica.
Il sole è alto nel cielo e, mentre lancio lo sguardo oltre il finestrino e vedo alti pioppi scorrere veloci, mi rendo conto che mancano solo sei giorni al rientro.
Quando ho accettato di partecipare a questo viaggio, è stato per me come decidere di prendere parte ad nuovo inizio, qualcosa di veramente grande e importante, una rinascita dopo un anno che mi ha strizzata come un limone.
Come l'Araba Fenice, penso alle incombenze che mi aspettano al rientro, prima fra tutte l'Università.
Sarà dura non svegliarmi con Zio che si fa la barba alle 6 del mattino e con la dolce Francy che mi dice buongiorno, così come mi mancherà viaggiare tutti insieme in macchina, ascoltando musica e rendendomi conto ad ogni kilometro che "Sono in America"!
Questa esperienza mi ha dato la consapevolezza che bisogna comunque "andare" e che la mia vita a Velletri è una parentesi (mamma e papà state tranquilli, mi manca ancora un bel po' per terminare l'Università); non ci sono limiti reali all'azione e al pensiero, ma solo barriere che per noi per primi ci poniamo e quindi possiamo superare meglio di chiunque altro.
Mi piacerebbe che questo pensiero arrivasse fino all'altra parte dell'Oceano, a chi legge queste righe e alle persone che amo, affinchè le paure non possano mai compromettere l'energia con la quale affrontiamo le nostre giornate e costruiamo i nostri desideri. C'è sempre un buon motivo per non accontentarsi.
Non so spiegare perchè, ma una cosa sugli Stati Uniti è proprio vera: è il Paese in cui tutto ti sembra possibile, e dove (anche con un uragano alle porte) ti senti ottimista e fiducioso a prescindere.
E finchè sono qui, credo sia meglio approfittarne.
sabato 27 agosto 2011
martedì 23 agosto 2011
On the road - pt 2: Vita da Parchi
Aggiorno il diario di viaggio solo adesso perchè nei due giorni passati nello Yellowstone la possibilità di essere collegati con il mondo esterno è stata praticamente assente, circondati dalle immense montagne del Wyoming.
Il paesaggio è costellato da geyser, solfatare, piccoli vulcani a picco sull'acqua che, con i loro fumi e vapori, rendono il nostro viaggio ancora più suggestivo.
Le strade americane sono larghissime e quelle che attraversano il parco sono davvero entusiasmanti da percorrere in macchina, l'occhio viene continuamente rapito dal panorama e dagli animali, che qui chiamano wildlife, che abitano queste lande: antilopi, cervi, alci, bufali passeggiano indisturbati sulla carreggiata o si fanno ammirare mentre pascolano nel verde.
Yellowstone è un parco immenso, la sua superficie eguaglia quella della nostra Umbria, quindi dobbiamo fare una cernita su quello che vogliamo vedere.
Su una cosa siamo tutti d'accordo: vogliamo dedicarci a lunghe passeggiate e a un po' di trekking ma senza fare sforzi eccessivi, dato che non è il caso di strapazzare i gemelli e relativa mamma!
Il parco si divide in diversi trails, percorsi più o meno lunghi che si snodano lungo passerelle di legno, per evitare di camminare direttamente sul terreno vulcanico che si potrebbe rivelare instabile e.... bollente!
La natura crea delle vere e proprie magie, e in questo posto se ne può avere la prova ad ogni passo: impossibile non rimanere a bocca aperta davanti al getto imponente di acqua bollente che rende maestoso l'Old faithful, il geyser più famoso del Parco, chiamato così perchè è talmente "fedele" al punto che si può prevedere con anticipo il momento in cui entrerà in attività; oppure lo spettacolo cromatico delle grandi pozze d'acqua vulcanica, che ribollono o se ne stanno placidamente a livello del terreno, mostrandoci uno specchio di colori che va dal turchese all'ambra, dal verde acqua alle sfumature paglierine del giallo. I nomi di queste "creazioni" rendono bene l'idea, infatti si passa dal Chromatic al Turquoise o Beauty Pool, fino ad arrivare all' "Occhio di Dio"; questa è la pozza più profonda ma anche la più compromessa dall'inciviltà e dal vandalismo dei turisti, che vi gettano monete e metalli, ed hanno ormai alterato l'equilibrio acido che rende possibile questo arcobaleno di colori.
Il secondo giorno abbiamo bisogno di immergerci nel verde, di respirare l'aria fresca di montagna che solo i 2700 metri ci possono regalare.
Luchino e Zio inaugurano la giornata con una Continental breakfast, mentre io, Francy, Vale e Berty restiamo leggeri con yogurt, cereali e latte consumati ai tavolini del General Store dello Yellowstone Lodge.
Più o meno tutti gli altri del gruppo hanno sofferto la quota raggiunta, chi con mal di testa, chi con respiro affannato o tachicardia; personalmente il mio fisico si è abituato all'altezza senza neanche accorgersene, l'unica vera sofferenza è stata legata al cibo grasso e fritto degli States..mal di stomaco e gonfiori all'ordine del giorno!
Con il passare dei giorni, però, ho trovato dei cibi salva-vita: mashed potatoes (un classico purè), boiled corn (la famosa pannocchia, rigorosamente da chiedere senza burro fuso) e insalate senza salse ( e purtroppo anche senza olio d'oliva, che qui, non esiste).. Insomma, tutto quello che si discosti dal fritto, imburrato e contraffatto cibo made in Usa!
Così, dopo la nostra colazione partiamo alla volta di Upper e Lower falls, bellissime cascate nel Parco con trails di media lunghezza e vari Inspiration points sparsi qui e là.
La sera Zio e Luchino approfittano del favoloso cielo pieno di stelle e, nonostante il freddo pungente, scattano foto davvero molto belle.
La volta celeste è tutta per noi, non c'è smog che possa annebbiare questo spettacolo: il Grande Carro e la Via Lattea sono lì, solo per noi.
Il giorno dopo salutiamo lo Yellowstone e scendiamo verso il Teton Park, dove il paesaggio si fa decisamente più montuoso, anche se il sole è battente e fa più caldo.
Per visitare il Teton alloggiamo in un motel nella cittadina di Jackson's Hole, praticamente la città di John Wayne e compagni!
A parte i vari cowboys (veri e presunti) che vediamo per strada, il paese è pieno zeppo di negozi che vendono cuoio, cinte, stivali, cappelli ed archi di corna di cervo; è vero che l'atmosfera è alquanto enfatizzata e cinematografica, ma vi assicuro che la voglia di entrare in un negozio e uscirne vestiti pronti per saltare a cavallo.. stuzzica ognuno di noi!
Il Teton Park è più piccolo dello Yellowstone, ma personalmente lo preferisco, perchè ci ha permesso di fare due giorni di trekking immersi nella Natura.
Il primo giorno decidiamo di seguire il trail "Jenny's Lake" e quindi prendiamo una barca e raggiungiamo una sponda del lago dalla quale iniziamo un percorso di circa tre ore di cammino.
Sulla barca, durante il tragitto, la guida ci avverte del pericolo-orso e delle relative misure di sicurezza.
Praticamente, se dovesse capitare di incontrare Yoghi, possiamo solo sperare che non sia affamato, perchè è inutile anche provare a correre, dato che lui raggiunge i 40km/h.. e nessuno di noi si chiama Ben Johnson..
Iniziamo il percorso e fra rocce, cascate e sentieri, saliamo sempre di più fino a raggiungere la vetta: 7800 piedi, il Monte Teton imponente davanti a noi!
Le foto potranno forse rendere il paesaggio, ma le emozioni provate non c'è modo di raccontarle: sedersi su una roccia, il vento è fresco e la Natura, affascinante e placida, culla i pensieri che si fanno leggeri e seguono lo sguardo, che si perde lontano..
Il secondo giorno scegliamo un altro trail, il Two Oceans Lake, che promette la vista del Teton incorniciato da due laghi.
Partiamo un po' tardi ed iniziamo il percorso verso mezzogiorno, ma dei ragazzi americani incontrati nella parking area del trail ci assicurano che dopo una bella salita il percorso è tutto in discesa.
Effettivamente, la salita è abbastanza ripida e lunga, ma raggiunta la vetta capiamo che ne è valsa la pena. È caldo e il sole brucia, quindi dopo qualche scatto decidiamo di scendere; camminiamo un bel po' e ci godiamo la discesa, anche perchè siamo gli unici sul percorso.
Ad un certo punto il caro Berty, che apre la fila ed è davanti a me, si arresta nei pressi di un fiumiciattolo e mi fa segno di fermarci; anche io e Luchino abbiamo sentito un rumore strano, sicuramente un animale impegnato nella doccia pomeridiana.
Sarà il terrorismo psicologico dei rangers che nei giorni precedenti ci hanno messo in guardia, saranno i cartelli "Warning: bear area" disseminati un po' ovunque ma, senza neanche pensarci, torniamo indietro in silenzio e a passo svelto.. e non nego che un po' di strizza s'è fatta sentire!
La discesa che tanto avevamo gradito qualche minuto prima, diventa ora una terribile salita: fa caldo, l'acqua non è molta ma ci mettiamo di buona lena e iniziamo a tornare indietro. Con le dovute soste all' ombra e grazie ai sali minerali prontamente offerti da Francy, la previdente farmacista del gruppo, riusciamo a tornare alla parking area.
La macchina, che contiene le taniche per il re-fill dell'acqua, ci sembra un miraggio: sono le tre del pomeriggio, mangiamo ciliegie e apprezziamo il fatto di non essere lo stuzzicadente di nessun wild animal :)
Adesso siamo in macchina pronti a circa 10 ore di viaggio per raggiungere lo Utah, con destinazione Moab.
Ora cominceremo a sentire il caldo vero: resisteremo al sole che si riflette sulla terra rossa ed arida del Canyon e ai 42 gradi della Death Valley?
Il paesaggio è costellato da geyser, solfatare, piccoli vulcani a picco sull'acqua che, con i loro fumi e vapori, rendono il nostro viaggio ancora più suggestivo.
Le strade americane sono larghissime e quelle che attraversano il parco sono davvero entusiasmanti da percorrere in macchina, l'occhio viene continuamente rapito dal panorama e dagli animali, che qui chiamano wildlife, che abitano queste lande: antilopi, cervi, alci, bufali passeggiano indisturbati sulla carreggiata o si fanno ammirare mentre pascolano nel verde.
Yellowstone è un parco immenso, la sua superficie eguaglia quella della nostra Umbria, quindi dobbiamo fare una cernita su quello che vogliamo vedere.
Su una cosa siamo tutti d'accordo: vogliamo dedicarci a lunghe passeggiate e a un po' di trekking ma senza fare sforzi eccessivi, dato che non è il caso di strapazzare i gemelli e relativa mamma!
Il parco si divide in diversi trails, percorsi più o meno lunghi che si snodano lungo passerelle di legno, per evitare di camminare direttamente sul terreno vulcanico che si potrebbe rivelare instabile e.... bollente!
La natura crea delle vere e proprie magie, e in questo posto se ne può avere la prova ad ogni passo: impossibile non rimanere a bocca aperta davanti al getto imponente di acqua bollente che rende maestoso l'Old faithful, il geyser più famoso del Parco, chiamato così perchè è talmente "fedele" al punto che si può prevedere con anticipo il momento in cui entrerà in attività; oppure lo spettacolo cromatico delle grandi pozze d'acqua vulcanica, che ribollono o se ne stanno placidamente a livello del terreno, mostrandoci uno specchio di colori che va dal turchese all'ambra, dal verde acqua alle sfumature paglierine del giallo. I nomi di queste "creazioni" rendono bene l'idea, infatti si passa dal Chromatic al Turquoise o Beauty Pool, fino ad arrivare all' "Occhio di Dio"; questa è la pozza più profonda ma anche la più compromessa dall'inciviltà e dal vandalismo dei turisti, che vi gettano monete e metalli, ed hanno ormai alterato l'equilibrio acido che rende possibile questo arcobaleno di colori.
Il secondo giorno abbiamo bisogno di immergerci nel verde, di respirare l'aria fresca di montagna che solo i 2700 metri ci possono regalare.
Luchino e Zio inaugurano la giornata con una Continental breakfast, mentre io, Francy, Vale e Berty restiamo leggeri con yogurt, cereali e latte consumati ai tavolini del General Store dello Yellowstone Lodge.
Più o meno tutti gli altri del gruppo hanno sofferto la quota raggiunta, chi con mal di testa, chi con respiro affannato o tachicardia; personalmente il mio fisico si è abituato all'altezza senza neanche accorgersene, l'unica vera sofferenza è stata legata al cibo grasso e fritto degli States..mal di stomaco e gonfiori all'ordine del giorno!
Con il passare dei giorni, però, ho trovato dei cibi salva-vita: mashed potatoes (un classico purè), boiled corn (la famosa pannocchia, rigorosamente da chiedere senza burro fuso) e insalate senza salse ( e purtroppo anche senza olio d'oliva, che qui, non esiste).. Insomma, tutto quello che si discosti dal fritto, imburrato e contraffatto cibo made in Usa!
Così, dopo la nostra colazione partiamo alla volta di Upper e Lower falls, bellissime cascate nel Parco con trails di media lunghezza e vari Inspiration points sparsi qui e là.
La sera Zio e Luchino approfittano del favoloso cielo pieno di stelle e, nonostante il freddo pungente, scattano foto davvero molto belle.
La volta celeste è tutta per noi, non c'è smog che possa annebbiare questo spettacolo: il Grande Carro e la Via Lattea sono lì, solo per noi.
Il giorno dopo salutiamo lo Yellowstone e scendiamo verso il Teton Park, dove il paesaggio si fa decisamente più montuoso, anche se il sole è battente e fa più caldo.
Per visitare il Teton alloggiamo in un motel nella cittadina di Jackson's Hole, praticamente la città di John Wayne e compagni!
A parte i vari cowboys (veri e presunti) che vediamo per strada, il paese è pieno zeppo di negozi che vendono cuoio, cinte, stivali, cappelli ed archi di corna di cervo; è vero che l'atmosfera è alquanto enfatizzata e cinematografica, ma vi assicuro che la voglia di entrare in un negozio e uscirne vestiti pronti per saltare a cavallo.. stuzzica ognuno di noi!
Il Teton Park è più piccolo dello Yellowstone, ma personalmente lo preferisco, perchè ci ha permesso di fare due giorni di trekking immersi nella Natura.
Il primo giorno decidiamo di seguire il trail "Jenny's Lake" e quindi prendiamo una barca e raggiungiamo una sponda del lago dalla quale iniziamo un percorso di circa tre ore di cammino.
Sulla barca, durante il tragitto, la guida ci avverte del pericolo-orso e delle relative misure di sicurezza.
Praticamente, se dovesse capitare di incontrare Yoghi, possiamo solo sperare che non sia affamato, perchè è inutile anche provare a correre, dato che lui raggiunge i 40km/h.. e nessuno di noi si chiama Ben Johnson..
Iniziamo il percorso e fra rocce, cascate e sentieri, saliamo sempre di più fino a raggiungere la vetta: 7800 piedi, il Monte Teton imponente davanti a noi!
Le foto potranno forse rendere il paesaggio, ma le emozioni provate non c'è modo di raccontarle: sedersi su una roccia, il vento è fresco e la Natura, affascinante e placida, culla i pensieri che si fanno leggeri e seguono lo sguardo, che si perde lontano..
Il secondo giorno scegliamo un altro trail, il Two Oceans Lake, che promette la vista del Teton incorniciato da due laghi.
Partiamo un po' tardi ed iniziamo il percorso verso mezzogiorno, ma dei ragazzi americani incontrati nella parking area del trail ci assicurano che dopo una bella salita il percorso è tutto in discesa.
Effettivamente, la salita è abbastanza ripida e lunga, ma raggiunta la vetta capiamo che ne è valsa la pena. È caldo e il sole brucia, quindi dopo qualche scatto decidiamo di scendere; camminiamo un bel po' e ci godiamo la discesa, anche perchè siamo gli unici sul percorso.
Ad un certo punto il caro Berty, che apre la fila ed è davanti a me, si arresta nei pressi di un fiumiciattolo e mi fa segno di fermarci; anche io e Luchino abbiamo sentito un rumore strano, sicuramente un animale impegnato nella doccia pomeridiana.
Sarà il terrorismo psicologico dei rangers che nei giorni precedenti ci hanno messo in guardia, saranno i cartelli "Warning: bear area" disseminati un po' ovunque ma, senza neanche pensarci, torniamo indietro in silenzio e a passo svelto.. e non nego che un po' di strizza s'è fatta sentire!
La discesa che tanto avevamo gradito qualche minuto prima, diventa ora una terribile salita: fa caldo, l'acqua non è molta ma ci mettiamo di buona lena e iniziamo a tornare indietro. Con le dovute soste all' ombra e grazie ai sali minerali prontamente offerti da Francy, la previdente farmacista del gruppo, riusciamo a tornare alla parking area.
La macchina, che contiene le taniche per il re-fill dell'acqua, ci sembra un miraggio: sono le tre del pomeriggio, mangiamo ciliegie e apprezziamo il fatto di non essere lo stuzzicadente di nessun wild animal :)
Adesso siamo in macchina pronti a circa 10 ore di viaggio per raggiungere lo Utah, con destinazione Moab.
Ora cominceremo a sentire il caldo vero: resisteremo al sole che si riflette sulla terra rossa ed arida del Canyon e ai 42 gradi della Death Valley?
venerdì 19 agosto 2011
On the road - pt 1
Gli ultimi due giorni passati a New York ci hanno regalato tanto sole e la possibilità di girare per la città senza essere armati di k-way ed ombrello... ci sembrava di aver dimenticato cosa significasse passeggiare muniti solo di zainetto e macchina fotografica!
Le tanto utili scarpe da trekking hanno lasciato il posto a delle leggerissime
Adidas e le mie Birkenstok, amate e fedeli compagne d'avventura da ormai sei anni, mi hanno abbandonata proprio nella Grande Mela e mi sembra un degno epilogo dopo tante estati fatte di Paesi, camminate, incontri, balli, sentieri..
L'ultimo giorno a NY siamo stati sulla riva del fiume Hudson e nel relativo parco, un posto veramente imperdibile, un'oasi verde perfettamente incastrata fra i grattacieli e che ci ha permesso di pranzare con un'insalatona su una terrazza proprio sul fiume (dopo svariati hot dog, hamburger e pretzel - che qui mangiano in continuazione- la disperata ricerca di cibo sano e di verdure ha inizio!)
Prendiamo la metro (che è una vera fornace, sembra di entrare in un phon per capelli in azione) verso Greenwich Village, dove la foto a Bedford St. con l'appartamento di "Friends" sullo sfondo è d'obbligo!
Gv è uno dei quartieri più antichi di NY e Joyce, Hemingway e Pollock hanno trovato ispirazione e passato qui buona parte della loro vita.. Effettivamente non è difficile crederlo, dato che il quartiere è davvero delizioso: universitari e ragazzi in ogni angolo, negozietti vintage e ristoranti di ogni tipo rendono le strade di Greenwich Village così caratteristiche che probabilmente posso eleggerlo il luogo "urbano" che più mi ha colpito finora insieme alla High Line, la sopraelevata verde in prossimità della 10th Avenue.
La High Line è una strada di circa 2,5 km che si erge come un lungo sentiero verde sopra la città.
È un'imponente opera di recupero urbano che si snoda fra vecchi palazzi dismessi e fabbriche, posta in una grigia zona industriale e meccanica che è diventata un piccolo orto botanico grazie a questa intelligente rivisitazione. La gente che abita qui attorno viene a prendervi il sole, comodamente sdraiata su panche reclinate che la struttura offre, oppure passeggia, corre o sorseggia caffè ai tavolini disposti lungo il percorso. Anche questa è la vita newyorkese..davvero durissima, come potete immaginare :)
Dopo una capatina serale sulla sommità del "Top of the rock" (ben 23 dollari per ammirare tutta New York illuminata ai nostri piedi) ci prepariamo per la giornata campale che ci aspetterà il giorno dopo: inizia il viaggio verso lo Yellowstone!
La tabella di marcia prevede un volo verso Denver e poi da qui dovremmo proseguire con un altro aereo verso Billings, ma arriviamo in aereoporto e..la Continental Airlines ha perso le nostre prenotazioni e ci dirotta (facendosi in quattro e dandoci un voucher di 12 dollari per il pranzo) su Chicago, dove aspetteremo 5 ore e poi partiremo per Billings.
Intanto il fuso cambia di Paese in Paese, non aggiorno neanche più l'orario al mio orologio da polso e cerco di capire se mi conviene dormire, mangiare o leggere per non scombussolarmi troppo, nonostante gli orari ballerini...
Da Chicago voliamo a bordo di un aereo minuscolo, non mi sorprenderebbe se ci chiedessero di spingere..ma ormai sono abituata e il volo (più la trafila di controlli che ne consegue) mi sembrano una cosa naturale..quindi inizio a sonnecchiare ancor prima del decollo!
Con la cervicale a pezzi, atterriamo e riprendiamo i bagagli; il Montana ci accoglie con un "paesaggio" diversissimo rispetto a quello newyorkese.
Mentre nella Big City noi eravamo decisamente sovrappeso rispetto alle modelle e ai tonici runners che ci facevano pensare che l'obesità americana fosse uno dei soliti pregiudizi, qui siamo decisamente in un contesto diverso.. Noi siamo dei figurini e mi sembra di essere finita in uno di quei programmi tipo "Chirurgia XXL" che passano su Real time in Italia.
Solo dopo 200 km di macchina e alle 2.30 locali (dopo una giornata che sembra non finire mai, dato che siamo svegli e in giro da 24 ore) arriviamo al nostro Motel.
Mi viene da ridere pensando a mio padre che mi ripete, prima di partire, di stare attenta agli assassini nei motel.. Dopo aver visto "Non è un paese per vecchi" la sua preoccupazione è salita a livelli massimi :)
In effetti i motel sono davvero come li vedi nei telefilm... e, secondo me, sono favolosi! Camere ampie e comode, colazione dieci e lode.. Eh si, è tutto veramente diverso dal nostro appartamentino a Manhattan dove eravamo costretti a dormire con l'aria condizionata accesa per non morire asfissiati nella notte!
Dopo sole cinque ore di sonno eccoci qui, tutti in auto alla volta del Parco: Zione alla guida, Luchino al posto passeggero, le donne dietro di loro e io e Berty nelle retrovie.. l'aria è fresca, il pile è sempre in agguato nello zaino e il rifornimento è stato effettuato: il viaggio continua, macinando kilometri ed entusiasmo fra le montagne e i ranch!
mercoledì 17 agosto 2011
Rainy days
I nostri primi due giorni a Nyc è piovuto quasi senza sosta.
Grazie ai miei previdenti compagni di viaggio ho portato con me le scarpe da trekking ed ho pienamente apprezzato le qualità tecniche del goretex.. Tutto avrei pensato tranne che l'assolata ed afosa Grande Mela ci avrebbe accolto piangente e grigia.
New york è così tremendamente uguale, e diversa al tempo stesso, da come l'ho sempre vista nei film e immaginata.
È esattamente l'unico posto al mondo dove Carrie può passeggiare indossando le sue Manolo Blanick mentre l' Uomo Ragno prende dimestichezza nel salto-con-ragnatela da un grattacielo all'altro; ma è anche una città con i piedi per terra, dove la diversità la fa da padrona e tutti sembrano avere un preciso obiettivo nella vita, mentre sorseggiano un cappuccino (!) nel famoso cartone e si lasciano trasportare dal flusso di gente sulla 5th Avenue.
New york è romantica, lo è in un modo inaspettato e avvolgente.
La città del progresso, della modernità, dei grandi palazzi vetrati incartati da gigantesche pubblicità di costose Firme ti regala vedute immense e ti sorprende con scorci di mattoncini rossi che non puoi fare a meno di amare ancora di più Woody Allen e la sua fotografia.
Central Park, Brooklyn, Statua della Libertà, Guggenheim Museum.. Imbarazzo della scelta.
Ma il Museo dell'Immigrazione ad Ellis Island ti spezza il fiato: valigie di cartone, vecchie fotografie di visi scarni e spigolosi, certificati di idoneità che hanno aperto le porte a tanti destini diversi e, in fondo, uguali. Pregiudizi ancestrali sugli stranieri che ti rubano il lavoro, già così fortemente radicati nel 1920.
Immancabile la visita al MoMa, dove Seurat, "One" di Pollock e Mondrian mi hanno rapita, incorniciati da una struttura ricca di stranezze artistiche, che aprono le porte alla fantasia.
I pensieri su questa città sono molteplici, dovrei passare ore a scrivere questo blog e arriviamo la sera stravolti.
Il viaggio continua, fra mille contraddizioni e voglia di riempirsi gli occhi.
Grazie ai miei previdenti compagni di viaggio ho portato con me le scarpe da trekking ed ho pienamente apprezzato le qualità tecniche del goretex.. Tutto avrei pensato tranne che l'assolata ed afosa Grande Mela ci avrebbe accolto piangente e grigia.
New york è così tremendamente uguale, e diversa al tempo stesso, da come l'ho sempre vista nei film e immaginata.
È esattamente l'unico posto al mondo dove Carrie può passeggiare indossando le sue Manolo Blanick mentre l' Uomo Ragno prende dimestichezza nel salto-con-ragnatela da un grattacielo all'altro; ma è anche una città con i piedi per terra, dove la diversità la fa da padrona e tutti sembrano avere un preciso obiettivo nella vita, mentre sorseggiano un cappuccino (!) nel famoso cartone e si lasciano trasportare dal flusso di gente sulla 5th Avenue.
New york è romantica, lo è in un modo inaspettato e avvolgente.
La città del progresso, della modernità, dei grandi palazzi vetrati incartati da gigantesche pubblicità di costose Firme ti regala vedute immense e ti sorprende con scorci di mattoncini rossi che non puoi fare a meno di amare ancora di più Woody Allen e la sua fotografia.
Central Park, Brooklyn, Statua della Libertà, Guggenheim Museum.. Imbarazzo della scelta.
Ma il Museo dell'Immigrazione ad Ellis Island ti spezza il fiato: valigie di cartone, vecchie fotografie di visi scarni e spigolosi, certificati di idoneità che hanno aperto le porte a tanti destini diversi e, in fondo, uguali. Pregiudizi ancestrali sugli stranieri che ti rubano il lavoro, già così fortemente radicati nel 1920.
Immancabile la visita al MoMa, dove Seurat, "One" di Pollock e Mondrian mi hanno rapita, incorniciati da una struttura ricca di stranezze artistiche, che aprono le porte alla fantasia.
I pensieri su questa città sono molteplici, dovrei passare ore a scrivere questo blog e arriviamo la sera stravolti.
Il viaggio continua, fra mille contraddizioni e voglia di riempirsi gli occhi.
sabato 13 agosto 2011
Prime impressioni newyorkesi
- Giro in taxi giallo con conducente nero e ben piazzato: FATTO
- Appartamento a Manhattan, 42 Avenue, fra "grocery" e "italian pizza" everywhere : RAGGIUNTO
- Andare a dormire almeno alle 22 (h 4.00 italiane) per abituarsi al fuso : IN FASE DI REALIZZAZIONE
- Rendersi conto che ieri sera mi sono addormentata nel mio letto a Velletri, provincia di Roma, e che domattina mi svegliero' a New York: AMERICA
(troppo scombussolata per scrivere di piu', troppo imbranata con l'ipad per poter formulare pensieri lunghi e complessi)
- Appartamento a Manhattan, 42 Avenue, fra "grocery" e "italian pizza" everywhere : RAGGIUNTO
- Andare a dormire almeno alle 22 (h 4.00 italiane) per abituarsi al fuso : IN FASE DI REALIZZAZIONE
- Rendersi conto che ieri sera mi sono addormentata nel mio letto a Velletri, provincia di Roma, e che domattina mi svegliero' a New York: AMERICA
(troppo scombussolata per scrivere di piu', troppo imbranata con l'ipad per poter formulare pensieri lunghi e complessi)
venerdì 12 agosto 2011
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